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29 luglio 2014 2 29 /07 /luglio /2014 22:35

 

 

1.Concordia, l’ultimo viaggio è finito (La Stampa, del 27/7)

2. Papa Francesco nella Terra dei fuochi (La Stampa, del 27/7)

3.Tra i ruderi dell'industria italiana (Fonte L’Espresso , La repubblica le inchieste . 25 luglio 2014)



Cos’hanno in comune questi titoli di giornale? Apparentemente poco o nulla. Eppure secondo me qualcosa li lega.

Certo, sono tutti eventi negativi, anche se di gravità e natura differenti. Le cause sono diverse naturalmente, ma nessuna di esse è attribuibile al caso. Si va dalla spavalderia-dabbenaggine per il primo alla delinquenza organizzata delle mafie e dei loro complici per il secondo, per finire con le trasformazioni tecnologico-industriali. Per tutti, però, è possibile intravedere uno sbocco positivo.

Nel primo caso, anzi, è già avviato, nel porto di Genova, il grande recupero, che permetterà di volgere in positivo un evento che, com’è noto, ha portato morte e distruzione.

Mi sembra opportuno rilevare quelli che, a mio parere, sono nelle grandi linee, gli aspetti fondamentali dell’evento Concordia: accertamento delle responsabilità (a questo proposito è auspicabile un veloce esito del processo in atto contro Schettino e corresponsabili), risarcimento dei danni, trasporto del relitto e recupero del materiale che conserva ancora un valore economico, dal legno, al ferro, agli arredi. Siamo alla fase finale del piano. In ogni caso si tratta di un’esemplare collaborazione tra pubblico e privato. Lo Stato, da una parte, attraverso la Protezione Civile, ha dato le linee direttrici dell’operazione di recupero e ne ha controllato e continua a controllarne l’esecuzione; i privati, da parte loro, soprattutto le assicurazioni, hanno messo gran parte dei soldi per il risarcimento materiale e trarranno, attraverso la società San Giorgio-Saipem, vantaggi economici dal recupero.

Si potrà seguire per gli altri eventi la strada percorsa dopo l’affondamento della Concordia? Io credo di sì. Forse non sempre e, sicuramente, non allo stesso modo.

Per esempio per la “Terra dei fuochi” immagino sia possibile una completa bonifica. Suppongo che si possa cominciare coprendo opportunamente il terreno inquinato con terra buona, che potrebbe essere costituita in parte da rifiuti umidi urbani, quelli usati per il compostaggio, fino alla piantumazione con alberi adatti. Tra dieci anni, e forse meno, là, dove adesso ci sono solo veleni, ci potrebbero essere boschi, parchi visitabili, almeno nelle zone meno inquinate e poi, chissà, tra venti o trent’anni, si potrebbe tentare una prudente e lenta antropizzazione, a cominciare da una pratica di agricoltura, insieme con allevamenti, tutto accompagnato da adeguati controlli. So che ci sono progetti in proposito.

Resta il problema delle falde acquifere. Mi chiedo se non esista già una tecnologia atta alla neutralizzazione dei veleni contenuti nell’acqua. E, se ancora la scienza non fosse arrivata a tanto, non si potrebbe finanziare la ricerca di metodi (chimici e/o biologici) per la neutralizzazione dei veleni contenuti nelle falde acquifere? Certo i privati hanno più interesse a investire risorse per prodotti che producono profitti a breve scadenza (per esempio telefonini dalle tecnologie sempre più sofisticate). Ma chi lo dice che la bonifica di un territorio non possa essere, a lungo termine, un investimento remunerativo anche per i privati? Si potrebbero immaginare sfruttamenti agricoli e, perché no, turistici e in parte residenziali (pur con i necessari vincoli). In Germania negli ex insediamenti industriali della Ruhr qualcosa del genere è stato fatto.

Tutto ciò comporta studio, fantasia, onestà intellettuale, tecnologia, capitali, interventi dello Stato e dei privati, a livello nazionale e internazionale, com’è stato per la Concordia. Insomma occorrono progetti importanti e a lungo termine cui dovrebbero partecipare industriali, politici, tecnici, scienziati, maestranze capaci e oneste. Merce rara in Italia ma che pure esiste. Lo sforzo da fare è grande ma il ritorno, in termini di ricchezza materiale e spirituale, ma soprattutto di nuova, e non poca, occupazione, sarebbe ancora più grande.

E’ tutta utopia? In parte lo è, ma senza un po’ d’immaginazione non ci salviamo. Forse non è troppo tardi per l’Italia.

 

 

 

 

 

 

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