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13 aprile 2013 6 13 /04 /aprile /2013 22:35

capolinea 11Il capolinea dell’11, alla periferia di Venaria Reale, somiglia a tutti i capolinea dell’hinterland di Torino, e forse d’Italia: un giardino, un prato spelacchiato, case popolari con i panni stesi sulla facciata.

Entrato nel centro storico, all’altezza di Altessano, borgo medievale da cui prese origine Venaria stessa nel XVI secolo, scendo per vedere la Reggia dall’esterno. Ne approfitto per fare alcune foto, anche durante il percorso a piedi. La strada che porta al castello è piena di ristoranti con menù turistici. Le case intorno, risalenti a epoche diverse, pur non sfarzose, conservano un loro decoro, ma all’intonaco di qualcuna andrebbe data una rinfrescata. Le targhe delle strade, in cui sono indicati oltre al nome attuale anche quelli vecchi, sono un condensato di storia, a cominciare dalla via Mensa, già via Maestra, già via  Carlo Alberto. Dopo aver superato la seicentesca piazza dell’Annunziata, a forma di medaglione, arrivo davanti alla Reggia. Il complesso, concepito, come tutto il borgo, nella seconda metà del seicento, da Amedeo di Castellamonte, è uno spettacolo di armonia e di grandiosità. I lavori di restauro, iniziati alla fine degli anni ’90 e non ancora del tutto finiti, hanno costituito “il più grande cantiere d’Europa nel campo dei beni culturali”, e i risultati si vedono: è uno dei cinque siti più visitati in Italia. Ma, se posso permettermi, a fronte della magnificenza generale, c’è qualche piccolo particolare che stona: non si potrebbero togliere o occultare i bidoni della spazzatura davanti all’ingresso delle scuderie juvarriane?

    Altro scorcio di Via Mensa              Centro-di-Venaria.JPG

   piazza-dell-Annunziata.JPG                   Entrata-alle-scuderie.JPG

Ridiscendo a Porta Palazzo, il più grande mercato all’aperto d’Europa. Un’esplosione di colori, di odori e di lingue diverse. Dalla parte della frutta e verdura predominano i magrebini, che hanno occupato il posto dei venditori ambulanti meridionali degli anni ’80 e ’90: gridano a più non posso, ripetendo la frase come una cantilena dal vago effetto ipnotico. Dalla  parte dell’abbigliamento si vedono per lo più visi orientali: non gesticolano e non alzano la voce. Non è cambiata, negli anni, solo l’umanità che compone il mercato. Sono cambiati in meglio l’aspetto architettonico e l’urbanistica di tutta l’area. Le facciate dei palazzi sono state ripulite e, se si fa un giro nelle vie limitrofe, è un pullulare di ristorantini italiani ed etnici. Anche la galleria Umberto I ha un aspetto più piacevole rispetto ad alcuni anni fa. Purtroppo sono anche evidenti i segni della crisi economica: un uomo raccoglie gli scarti di verdura abbandonati per terra dai venditori ambulanti e una signora gli si avvicina per chiedergli alcune foglie di sedano.

    Dolceria-araba-a-Porta-Palazzo.JPG                        Mercato-di-Porta-Palazzo-copia-1.JPG

 Risalgo e, nel percorso della stretta via Milano, ho modo di osservare le facciate delle chiese barocche: Basilica Mauriziana, San Rocco e San Francesco d’Assisi. In mezzo alle chiese, pasticcerie, kebab, negozi d’abbigliamento. Prima di attraversare via Garibaldi passiamo davanti al Municipio, una volta Palazzo di Città, da cui traggono il nome la piazza antistante e la stessa Porta Palazzo. Quella che una volta era la piazza delle Erbe è coperta oggi da una tettoia d’innumerevoli lampadari a forma di cubi colorati: di notte danno un bell’effetto di luci, ma di giorno stridono, a mio modesto giudizio, con tutto il resto, statua del Conte Verde compresa. Ma forse la coerenza delle parti non è più una categoria dell’estetica. Poi via Arsenale con le sedi centrali di banche o fondazioni bancarie dai bei portoni di legno o ferro battuto.

Si oltrepassa Corso Vittorio Emanuele e s’intravede la facciata della stazione di Porta Nuova, o meglio s’immagina di vederla, a causa  dei troppo lunghi lavori di restauro.

In Corso Matteotti, al capolinea, il “paesaggio” cambia di nuovo: al brulichio e alla concitazione del mercato e alla Torino storica si sostituiscono gli ordinati e maestosi viali alberati e le signorili, ma lontane dai fasti del Liberty, palazzine della Torino borghese dei primi ‘900, descritta anche da Pietro Citati.

Il pullman al ritorno, a causa dei sensi unici, fa altre strade: via XX Settembre e un tratto di Corso Regina Margherita fino a Piazza della Repubblica, dove riprende il tragitto dell’andata. C’è il tempo per vedere di sfuggita il Duomo di Torino da una parte e le vestigia della Torino romana con le torri palatine dall’altra. Solo nelle città italiane è possibile ripercorrere la storia di duemila anni nel perimetro di un chilometro quadrato!

A Porta Palazzo l’autobus, nonostante sia di quelli lunghi, si riempie fino all’inverosimile. In mezzo alle imprecazioni, agli odori e ai colori forti, inizia la guerra per la ricerca del posto, ma è una scena che si ripete ogni volta: gran parte delle persone c’è abituata e pazienta. Tanto tra cinque, sei fermate la sceneggiata sarà finita: scenderanno quasi tutti e i passeggeri rimasti troveranno posto.

 

 

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